Un dualismo non solo dell’arte contemporanea, in cui spesso e volentieri l’idea subliminale e sofisticata del significato sostituisce l’apprezzamento estetico e diretto dell’oggetto artistico, ma delle stesse società occidentali, incapaci di predicare bene e razzolare bene allo stesso tempo.
Collocato sulla soglia di questo paradosso, The Square, pellicola unpolitically correct, mette a nudo le falsità che corrodono il tessuto sociale mettendo al centro della sua narrazione l’intensa girandola di eventi che rischia di gettare improvvisamente nel baratro la vita e la carriera di Christian, curatore di un importante museo di Stoccolma.
Il film prende le mosse dall’inserzione in galleria di una nuova installazione (da cui il titolo del film) all’interno della quale “le richieste di aiuto di nessuno possono essere ignorate” per poi focalizzarsi su quella fetta di società borghese, colta, raffinata, amante della cultura, che sembra riuscire, attraverso il filtro dell’arte, ad empatizzare con le sofferenze, i problemi e le proteste che caratterizzano un’altra fascia (lontana) di popolazione più disagiata e bisognosa, ma che si tradisce nel concretizzare quei tanto alti valori nel momento in cui il reale, e non una disquisizione accompagnata da buon vino durante una mostra inaugurativa, lo richieda.
La tensione corre sullo schermo in vari momenti, ma il picco del disagio è raggiunto quando Christian tenterà di aizzare il suo pubblico agli applausi per lo scimpanzé performer che sta letteralmente mettendo a repentaglio l’incolumità personale di alcuni commensali. Eppure, anche se innervata da una spinta critica e persino politica, l’opera di Östlund non scade mai nel moralismo becero o nell’accusatoria esplicita, né tantomeno tenta di prendere o delineare una posizione netta. Il film infatti lascia che sia lo spettatore a decretare l’ultima parola, quale giudizio emettere e quale insegnamento trarre, sempre che ce ne sia uno.
Probabilmente avrà lasciato qualche spettatore perplesso o persino stizzito, come pare pure essere l’addetto alle pulizie del museo che deve destreggiarsi agilmente e accuratamente col suo macchinario fra montagnette di sabbia per non eliminare qualche prezioso granello (avrebbe di gran lunga preferito spolverare un canonico Picasso!).
Eppure The Square si configura come un film profondo, girato con notevole talento. Parlando del singolo e al singolo vuole invece parlare all’universale e dell’universale, soprattutto delle nostre società occidentali, dei nostri comportamenti abitudinari. E infine parla di noi, spesso privilegiati inconsapevoli e forti di convinzioni e ideali. Ideali che brillano sì sulla carta, ma destinati ben presto a sgretolarsi al primo impatto duro con la realtà che non corrisponda alla nostra comfort zone, quando è necessario condividere davvero l’esperienza ed uscire da un’ovattata, esaltata ed egocentrica sfera personale. Fin ora solo nonnulla, e difatti, se sei una mendicante la cipolla dal Chicken Ciabatta te la levi da sola.